Infarto e arresto cardiaco: qual è la differenza?

Spesso, chi non ha una preparazione medica può confondere infarto (o attacco di cuore) e arresto cardiaco. Queste due espressioni, tuttavia, non sono intercambiabili né sono l’una il sinonimo dell’altra: facciamo chiarezza su cosa sia l’infarto e cosa invece l’arresto cardiaco, quali siano le differenze fondamentali tra queste due disfunzioni del cuore e in quale caso è necessario utilizzare il defibrillatore.

Infarto: quali sono i sintomi e cosa fare

Per infarto si intende la necrosi del tessuto di un organo a causa del mancato o insufficiente apporto di ossigeno alle cellule, generato dall’occlusione delle arterie, che impediscono il normale flusso del sangue.

Nell’accezione comune, quando si parla di “infarto” ci si riferisce all’infarto del miocardio: il sangue diretto al cuore smette di fluire e il muscolo cardiaco inizia a cedere.

Quali sono i sintomi principali dell’infarto e come riconoscerlo?

  • Dolore al braccio sinistro e nelle zone circostanti come schiena, collo, mascella o stomaco;

  • senso di oppressione al petto;

  • difficoltà respiratorie;

  • nausea o vomito;

  • senso di forte stanchezza;

  • vertigini;

  • sudorazione fredda.

Nelle donne questi sintomi possono risultare meno evidenti che negli uomini, ed è quindi più difficile riconoscere che si tratta di infarto. Non è raro infatti che le donne accusino, oltre ai sintomi già visti, dolore addominale o una sensazione di bruciore sul petto.

In caso di infarto la prontezza è indispensabile: un intervento tempestivo aumenta la possibilità di sopravvivenza, per cui è necessario allertare immediatamente i soccorsi. Più tempo si aspetta e più il muscolo cardiaco potrebbe andare ulteriormente in necrosi, con il rischio di danni molto gravi.

I sintomi dell’arresto cardiaco e la funzione del defibrillatore

L’arresto cardiaco invece ha come conseguenza una improvvisa alterazione del battito del cuore (o aritmia). L’attività cardiaca involontaria si ferma, interrompendo il flusso di sangue agli organi e togliendo loro anche l’ossigeno che li fa funzionare. Si tratta, insomma, di un problema “elettrico” che si verifica quando gli impulsi tra cervello e cuore si interrompono.

L’arresto cardiaco si distingue dall’infarto perché la vittima perde conoscenza e il respiro si interrompe. Anche in questo caso intervenire subito chiamando i soccorsi è la prima cosa da fare: se si ha a disposizione un defibrillatore, poi, è imprescindibile usarlo.

I defibrillatori, infatti, servono proprio a scongiurare il rischio di morte da arresto cardiaco, perché permettono di intervenire immediatamente nei casi di fibrillazione ventricolare e tachicardia ventricolare. Tutti i DAE sono in grado di riconoscere il ritmo defibrillabile senza rischio di errore e permettono di erogare la scarica che salva la vita del paziente.

Le possibilità di sopravvivere a un arresto cardiaco possono raggiungere addirittura il 90% se la scarica elettrica salvavita viene erogata entro i primi due minuti dopo l’arresto cardiaco. Il rischio di morte, poi, aumenta del 10% ogni minuto che passa: il tempo è un fattore chiave, dal momento che in assenza di ossigeno al cervello il rischio di riportare danni neurologici è alto.

Per fortuna, dall’agosto 2021, la legge italiana ha sdoganato l’uso dei defibrillatori automatici e semiautomatici rendendoli obbligatori in alcuni luoghi chiave come scuole, uffici e mezzi di trasporto. Inoltre è possibile per chiunque, in assenza di personale sanitario o formato nel primo soccorso, intervenire per salvare una vita: chi interviene utilizzando il defibrillatore agisce in stato di necessità e non è dunque penalmente responsabile.

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